L’Ispettorato Nazionale del Lavoro risponde alla richiesta di chiarimenti a questa domanda, con nota dell’8 febbraio 2017 prot. n. 1004. Innanzitutto, l’Ispettorato chiarisce che si definisce per lavoro domestico “l’attività lavorativa prestata esclusivamente per le necessità della vita familiare del datore di lavoro (art. 1, legge 339/1958), che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico diretti al funzionamento della vita familiare”. Tale attività viene svolta nella casa abitata esclusivamente dal datore di lavoro e dalla sua famiglia e non in un’impresa organizzata e strutturata.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 585/1987 ha sottolineato che “per la sua particolare natura” il lavoro domestico si differenzia da ogni altro rapporto di lavoro, “sia in relazione all’oggetto, sia in relazione ai soggetti coinvolti“. L’attività lavorativa non è prestata, quindi, “a favore di un’impresa avente, nella prevalenza dei casi, un sistema di lavoro organizzato in forma plurima e differenziata, con possibilità di ricambio o di sostituzione di soggetti“, ma nell’ambito di un nucleo ristretto e omogeneo, di natura per lo più familiare e risponde alle esigenze tipiche e comuni di ogni famiglia.
In ragione di tali caratteristiche, proprie al rapporto, la Corte Costituzionale aveva già evidenziato la legittimità di una disciplina speciale anche derogatoria ad alcuni aspetti rispetto a quella generale (sentenza n. 27 del 1974).
Il rapporto di lavoro domestico, in considerazione della peculiarità dello stesso, sin dall’origine ha goduto di una regolamentazione specifica, che, per l’appunto, tiene conto delle speciali caratteristiche che contraddistinguono la prestazione lavorativa resa dal lavoratore, l’ambiente lavorativo e, fattore non irrilevante, la particolare natura del soggetto datoriale.
Sulla base di ciò, si legge nella nota, che deve escludersi l’applicabilità “dei limiti e dei divieti di cui all’art. 4 della legge n. 300/1970“, poiché, assieme agli artt 2, 3 e 6, questo costituisce un corpus normativo tipico di una dimensione “produttivistica” dell’attività di impresa.
Questo significa che chi vuole installare un sistema di videosorveglianza all’interno della propria abitazione può farlo dunque senza richiedere una preventiva autorizzazione all’Ispettorato o un preventivo accordo sindacale.
Tuttavia, sottolinea l’Ispettorato, questo non sottrae il datore di lavoro domestico dal rispetto dell’ordinaria disciplina sul trattamento dei dati personali, essendo confermata la tutela del diritto del lavoratore alla riservatezza, garantita dal D.lgs. n.196/2003.
Pertanto sarà necessario informare l’interessato e disporre del consenso preventivo. Nell’ambito domestico, il datore di lavoro, anche nel caso di trattamento di dati riservati per finalità esclusivamente personali, incontrerà i vincoli posti dalla normativa sul trattamento dei dati personali a tutela della riservatezza e in particolare quanto previsto dall’art. 115 D. lgs. 196/2003, “garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale“.