Semplice da utilizzare ed esteticamente poco invasiva, la videosorveglianza sta assumendo una crescente importanza negli impianti residenziali, permettendo la video-verifica immediata dal proprio smartphone delle immagini riprese dal vivo e la registrazione di eventuali atti d’intrusione.

F.A.Q.

Se decido di installare una telecamera all’interno della mia abitazione devo rispettare la normativa privacy (apporre cartello, gestire un’informativa completa …)?

No, se un privato utilizza un sistema di videosorveglianza all’interno della propria abitazione e non diffonde o comunica sistematicamente le immagini acquisite, non sarà tenuto ad osservare gli obblighi imposti dalla normativa sulla privacy.

L’angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l’abitazione di altri condomini.

Quale normativa si applica ai sistemi di videosorveglianza?

I sistemi di videosorveglianza devono rispettare le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), dalla normativa sulla Privacy (D.lgs. 196/03) e dal Provvedimento Generale in materia di Videosorveglianza (Provvedimento in materia di Videosorveglianza – 8 aprile 2010).. Il nuovo Provvedimento Generale sostituisce quello emanato nel 2004, in virtù dell’aumento massiccio dell’utilizzo di tali sistemi da parte di soggetti pubblici e privati. Le immagini riprese avvalendosi di impianti di videosorveglianza rientrano nella categoria dei dati personali; chi fa uso di questi sistemi, deve pertanto attenersi al “Codice in Materia dei Dati Personali“, nel quale sono altre sì riportate le eventuali sanzioni a carico dei trasgressori.

Il primo principio è che chiunque installi un sistema di videosorveglianza debba provvedere a segnalarne la presenza, facendo sì che qualunque soggetto acceda all’area interessata dalle riprese sia avvisato della presenza di telecamere già prima di entrare nel loro raggio di azione.
La segnalazione deve essere effettuata tramite appositi cartelli, collocati a ridosso dell’area interessata, ed in modo tale che risultino chiaramente visibili. Nel caso in cui i sistemi siano attivi durante le ore notturne, i cartelli devono essere opportunamente illuminati. Essi devono inoltre contenere un simbolo o un’immagine stilizzata di semplice comprensione che rimandi all’uso di telecamere, il nominativo dei soggetti che hanno accesso alle strumentazioni e alla visualizzazione delle immagini riprese, ed un riferimento all’informativa completa (ovvero all’Art. 13 del “Codice in Materia dei Dati Personali”).

Le riprese effettuate per fini di sicurezza e tutela dell’ordine pubblico, con particolare riferimento alla prevenzione di reati o atti di vandalismo e alla sicurezza sul lavoro, costituiscono un’eccezione, e non necessitano dell’obbligo di segnalazione.
Normalmente, per installare un sistema di videosorveglianza, non è necessario l’assenso da parte del Garante della privacy; fanno però eccezione tutti i casi in cui sussiste il rischio di ledere i diritti e le libertà fondamentali o la dignità degli individui ripresi.
Necessitano ad esempio di verifica preliminare i sistemi che fanno uso di tecnologie in grado di rilevare dati biometrici, di individuare determinati eventi o comportamenti anomali, o di riconoscere automaticamente una persona sulla base delle immagini riprese.
Allo stesso modo non è prevista, di norma, la notifica al Garante. Essa va effettuata solo nei casi elencati nell’Art. 37 del “Codice in Materia dei Dati Personali” che si applicano alla videosorveglianza, ovvero quelli in cui si rilevano dati biometrici degli individui ripresi o la loro localizzazione geografica.

La conservazione delle immagini deve avere una durata prestabilita e non eccedente le 24 ore. In situazioni particolari, nelle quali sussiste un elevato fattore di rischio (ad esempio banche), la durata massima si estende ad una settimana; se si necessita di una conservazione dei dati più lunga sarà invece necessaria la verifica preliminare del Garante.
Come previsto dal “Codice in Materia dei Dati Personali”, il titolare ha l’obbligo di prendere le misure di sicurezza minime onde evitare la distruzione, la perdita, l’accesso abusivo alle immagini, nonché il loro utilizzo per scopi incoerenti con le finalità previste. In particolare, nel caso di videosorveglianza, il Garante prescrive che il titolare si preoccupi di controllare l’attività svolta dal personale che ha accesso ai dati acquisiti, per impedirne la duplicazione o distruzione.
È inoltre obbligatorio predisporre la cancellazione delle registrazioni effettuate, anche con sistemi automatici, entro il termine del periodo di conservazione. Nel caso in cui gli impianti fossero collegati a sistemi informatici, o prevedessero il trasferimento dei dati in modalità wireless, è necessario proteggere le connessioni servendosi delle tecniche di crittografia, per impedire l’accesso da parte di soggetti non autorizzati.

È possibile controllare colf e badanti tramite un impianto di videosorveglianza collocato in un’abitazione privata?

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro risponde alla richiesta di chiarimenti a questa domanda, con nota dell’8 febbraio 2017 prot. n. 1004. Innanzitutto, l’Ispettorato chiarisce che si definisce per lavoro domestico “l’attività lavorativa prestata esclusivamente per le necessità della vita familiare del datore di lavoro (art. 1, legge 339/1958), che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico diretti al funzionamento della vita familiare”. Tale attività viene svolta nella casa abitata esclusivamente dal datore di lavoro e dalla sua famiglia e non in un’impresa organizzata e strutturata.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 585/1987 ha sottolineato che “per la sua particolare natura” il lavoro domestico si differenzia da ogni altro rapporto di lavoro, “sia in relazione all’oggetto, sia in relazione ai soggetti coinvolti“. L’attività lavorativa non è prestata, quindi, “a favore di un’impresa avente, nella prevalenza dei casi, un sistema di lavoro organizzato in forma plurima e differenziata, con possibilità di ricambio o di sostituzione di soggetti“, ma nell’ambito di un nucleo ristretto e omogeneo, di natura per lo più familiare e risponde alle esigenze tipiche e comuni di ogni famiglia.

In ragione di tali caratteristiche, proprie al rapporto, la Corte Costituzionale aveva già evidenziato la legittimità di una disciplina speciale anche derogatoria ad alcuni aspetti rispetto a quella generale (sentenza n. 27 del 1974).

Il rapporto di lavoro domestico, in considerazione della peculiarità dello stesso, sin dall’origine ha goduto di una regolamentazione specifica, che, per l’appunto, tiene conto delle speciali caratteristiche che contraddistinguono la prestazione lavorativa resa dal lavoratore, l’ambiente lavorativo e, fattore non irrilevante, la particolare natura del soggetto datoriale.

Sulla base di ciò, si legge nella nota, che deve escludersi l’applicabilità “dei limiti e dei divieti di cui all’art. 4 della legge n. 300/1970“, poiché, assieme agli artt 2, 3 e 6, questo costituisce un corpus normativo tipico di una dimensione “produttivistica” dell’attività di impresa.

Questo significa che chi vuole installare un sistema di videosorveglianza all’interno della propria abitazione può farlo dunque senza richiedere una preventiva autorizzazione all’Ispettorato o un preventivo accordo sindacale.

Tuttavia, sottolinea l’Ispettorato, questo non sottrae il datore di lavoro domestico dal rispetto dell’ordinaria disciplina sul trattamento dei dati personali, essendo confermata la tutela del diritto del lavoratore alla riservatezza, garantita dal D.lgs. n.196/2003.

Pertanto sarà necessario informare l’interessato e disporre del consenso preventivo. Nell’ambito domestico, il datore di lavoro, anche nel caso di trattamento di dati riservati per finalità esclusivamente personali, incontrerà i vincoli posti dalla normativa sul trattamento dei dati personali a tutela della riservatezza e in particolare quanto previsto dall’art. 115 D. lgs. 196/2003, “garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale“.

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